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138 ATTO SECONDO
Rinaldo. Tre o quattr’ore saranno, ch’egli partì arrabbiato.

Dopo non l’ho veduto.
Conte.   (Dunque non è avvisato). (da sè)
Dorotea. Senza ragion m’adiro? senza ragion m’impegno?
(a Rinaldo)
Ditelo voi, che siete un cavalier sì degno.
(al Conte)
Conte. (S’ei non sa il mio disegno, sono imbrogliato un poco).
Dorotea. Conte, non crederei che vi prendeste gioco:
Che una cosa diceste a me per compiacenza,
E un’altra ne pensasse la vostra intelligenza.
In faccia a mio marito, se il ver detto mi avete,
Vi sfido a confermarlo, da cavalier qual siete.
Rinaldo. Parli il conte Alessandro; sto alla sua decisione.
Conte. (Non vorrei arrischiare la mia riputazione). (da sè)
Signori miei, desidero mirar nel vostro tetto
La quiete, la concordia e il coniugale affetto.
La collera calmate; e poi da cavaliere,
Quando sarete in pace, dirovvi il mio parere.
Fin ch’è l’animo acceso da sdegno e da passione.
Male si può conoscere il torto e la ragione.
Tosto che in amicizia veggovi ritornati,
Svelerò i sentimenti che ho nel cuor mio celati.
Dorotea. Per me, per acquietarmi bastano due parole.
Rinaldo. Parli, chieda, comandi, farò quel ch’ella vuole.
Conte. Le parlò vostro padre con qualche derisione;
Necessario è di darle la sua soddisfazione.
Onde il signor Ferrante, da cui venne il difetto,
Protesti per la nuora la stima ed il rispetto.
Rinaldo. Sì, lo farà mio padre; per lui ve ne assicuro.
Dorotea. Io da ciò lo dispenso; soddisfazion non curo.
Amante non mi credano del fasto e dell’orgoglio.
Conte. Per un atto d’amore.
Dorotea.   No, signor, non lo voglio.