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LO SPIRITO DI CONTRADIZIONE 135

SCENA II.

Il Conte Alessandro, poi la Signora Dorotea.

Conte. Per servire all’amico vuò mettermi al cimento;

Ma lo vo’ fare ancora per mio divertimento.
Ad insegnar, se posso, vuò colla mia lezione
A vincer delle donne l’usata ostinazione.
Dorotea. E bene, signor Conte, si è soddisfatto ancora
Il suocero indiscreto di dir mal della nuora?
Conte. Finora fra me stesso vi ho assai compassionata.
In verità, signora, siete sagrificata.
Dorotea. Di me che vi diceva quel vecchio ignorantissimo?
Conte. Seco mi ha trattenuto a favellar moltissimo.
Lasciamo andar le cose, che non importan molto.
Ma in ciò, mi compatisca, è un operar da stolto.
Maritar la figliuola, lo dico e lo protesto,
Senza il consenso vostro è un torto manifesto.
Dorotea. Siete male informato sopra di un tal proposito,
E per farmi la corte, voi dite uno sproposito.
Maritando la figlia non ho tal pretendenza.
Che venga il genitore a chiedermi licenza.
Conte. Non m’intendea di dire, che dipendesse affatto,
Ma rendervi doveva intesa del contratto.
Non chiamarvi al congresso a cose terminate.
Dorotea. Conte, voi non sapete quello che vi diciate.
Mi han chiamato benissimo in tempo ch’io poteva
Dir voglio, e dir non voglio; e far quel ch’io voleva.
Conte. E voi prudentemente avete proibito
Il foglio sottoscrivere al docile marito,
E con ragione oppostavi al nuzial contratto,
Quel che da lor si fece, venne da voi disfatto.
Dorotea. Facciano quel che vogliono, non contradico mai;
Ma, signor, questa volta me ne hanno fatto assai.
Conte. Cosa mai vi hanno fatto? ditelo in confidenza.