Fabrizio. Via di qua immantinente.
Roberto. Il mio cuor, la mia sposa.
Fabrizio. Vattene, impertinente.
Roberto. (Di perdere il mio bene, no, non poss’io soffrire.
Voglio la mia Cammilla a costo di morire).
(da sè, indi parte)
Fabrizio. Schiavo, signori miei.
Ferrante. Come, signor Fabrizio,
Mandar per così poco l’affare in precipizio?
E voi, signor Gaudenzio, mutolo siete fatto?
Gaudenzio. Non voglio più saperne, e lacero il contratto.
Ho fatto assai finora a avermi trattenuto.
Compatite di grazia, amico, vi saluto. (parte)
Fabrizio. Vergogna, che una donna giungavi a far paura.
Ferrante. Eccomi. A suo dispetto...
Fabrizio. Stracciata è la scrittura. (parte)
Ferrante. Ma io nella muraglia mi batterei la testa.
Vuol comandar la nuora? che impertinenza è questa?
E mio figlio medesimo cotanto è scimunito.
Che una moglie insolente può renderlo avvilito?
Eh cospetto di bacco, vuò far veder chi sono;
Ma mi confondo anch’io, quando con lei ragiono.
Pacifico fu sempre il mio temperamento.
Colei che lo conosce, mi ha preso il sopravvento.
Rinaldo ch’è mio figlio, anch’ei va colle buone,
E dubito ch’egli abbia paura del bastone.
Finora delle risse abbiam sfuggito il tedio.
Ora che il male è fatto, difficile è il rimedio.
Della bontà soverchia, eccolo qui il bel frutto:
La femmina orgogliosa vuol contradire a tutto.
Vorrei di queste donne averne un centinaio,
E come la triacca pestarle in un mortaio. (parte)