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LO SPIRITO DI CONTRADIZIONE 121
Dorotea. Senza tanti discorsi farete a modo mio. (a Rinaldo)

O il contratto si regoli con altre condizioni,
O fuor di questa casa senza ascoltar ragioni.
Roberto. Stabilito il contratto, vi par, signor Ferrante,
Ch’io comparir non debba alla mia sposa innante?
Fabrizio. Mio figlio è galantuomo, non merta un simil torto.
Gaudenzio. Il contratto va in fumo. Già me ne sono accorto.
Ferrante. Nuora, le mie ragioni tutte vi farò note.
Si è preso tempo un anno per causa della dote.
Se questa fosse pronta, vorrei, per soddisfarvi.
Maritandola subito l’incomodo levarvi.
Roberto. Signor, circa la dote, per me è la stessa cosa...
Fabrizio. Taci tu, che non c’entri. Qua il danar, qua la sposa.
Dorotea. Prima ch’io mi sposassi, pareva che qua drento
Vi fosse l’abbondanza dell’oro e dell’argento.
Ora, per quel ch’io vedo, siam belli e corbellati.
Quanto date alla figlia? centomila ducati?
Ferrante. Le do la stessa dote, che voi portata avete.
Dorotea. Diecimila ducati dunque non li averete?
Ferrante. Li avrei, se non avessi pel vostro sposalizio
Mandata, si può dire, la casa in precipizio.
Basta, più non si parli, che a dirlo io mi vergogno.
Cammilla è mia figliuola, dee avere il suo bisogno.
Vi preme che sen vada? Se ne anderà; facciamo
Un negozietto insieme, e quest’affar spicciamo.
Voi ci portaste in dote diecimila ducati;
Questi dal vostro padre ci furono girati,
E sussistono ancora nel pubblico deposito.
Cedendoli a Cammilla...
Dorotea.   Non fo questo sproposito.
S’ella coi miei danari aspetta a mantarsi,
Può star fino che campa in casa a consumarsi.
Ferrante. Sarà la vostra dote sui beni miei fondata.
Dorotea. Voglio il mio capitale, col qual fui maritata.
Gaudenzio. Dunque, signori miei, si può stracciare il foglio.