Il ciel vi ha destinato per far la mia fortuna;
E pur quant’io lo sono, felice or non sarei,
Se amabile non foste ancora agli occhi miei.
Sia dover, sia giustizia, sia inclinazione o amore,
Signor, ve lo protesto, vi ho consacrato il cuore.
Isabella. Respiro.
Luigi. Perdonate, se sconoscente, ingrato....
(a donna Marianna)
Marianna. Per sì bella cagione, signor, vi ho perdonato.
Principe, del cuor vostro il dubitare è vano;
Ma deh! per mio contento, porgetemi la mano.
Fernando. Pria che dal nuovo laccio sia la mia destra avvinta.
Donisi qualche giorno alla mia sposa estinta;
Dalle sue calde ceneri rimproverarmi io sento.
Voi la mia fede aveste. Son cavalier, non mento.
Marianna. Alle sventure avvezza, signor, mi trema il cuore;
Mi ha mancato di fede un cavalier d’onore.
Abbia l’estinta sposa il dovuto rispetto.
Tardisi ad occupare il marital suo letto.
Ma dandomi di sposo la mano in queste mura,
Del ben che mi offerite, rendetemi sicura.
Fin che la mia fortuna risplende in lontananza,
Avrò in petto il timore unito alla speranza;
E il Duca alla sua sposa esser non deve unito,
Prima che il sacro nodo fra noi sia stabilito.
Isabella. Deh, padre mio...
Fernando. V’intendo. Per rendervi felice,
Soffra le caste nozze l’estinta genitrice.
Speso per voi non abbiasi tanto sudore invano:
Su via, donna Marianna, porgetemi la mano.
Marianna. Eccola. Dal contento sentomi il cuore oppresso.
Fernando. Figli, miei cari figli, fate voi pur lo stesso.
Luigi. Permettetemi, o cara... (a donna Marianna)
Placida. La destra a lui porgete.
(a donna Isabella)