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LA VEDOVA SPIRITOSA 491


ritade, il zelo, la buona amicizia m’inspira un’opera di pietà, in favore di questa povera figlia. Prima ch’ella si perda, prima ch’ella si esponga ad un peggiore partito, don Berto, il cielo mi aiuti, ve la domando in isposa. Don Berto, udite queste parole, esce fuor di se stesso dalla allegrezza, e dicegli: Signor sì. Ma l’avvocato, e don Sigismondo, ed io ancora saltiamo intorno a don Berto, e gli diciamo: S’ha da sentir la fanciulla; ed ei risponde: Sì signori, si ha da sentir la fanciulla. A me diedero dunque la commissione di dire a donna Luigia, ch’ella è di là aspettata. Ma il vecchio astuto, ritiratomi in disparte, mi pregò di persuadervi per lui, promettendomi un buon regalo. Io per altro son galantuomo, sono un uomo d’onore, non sono avido di danaro, bastami la buona grazia di loro signore, il piacer della loro conversazione, e l’onor di poterle servire alla loro tavola.

Placida. Affé, don Isidoro, l’istoriella non può essere più bizzarra; è propriamente una scena comica da mettere in un teatro.

Luigia. Più tosto che sposar don Anselmo, che è un uomo tristo e ribaldo, sarei disposta a prendere don Sigismondo; ma per dire schiettamente quel che ho nel cuore, se stasse a me lo scegliere, non sceglierei alcun di loro.

Isidoro. Signora, se voi aveste della bontà per me...

Luigia. No, don Isidoro, io sceglierei l’avvocato.

Placida. (Può levarselo dalla mente; l’avvocato non è per lei). (da sè)

Isidoro. L’accidente, per dirla, saria bellissimo, che fra due litiganti vi guadagnasse il terzo. L’idea non mi dispiace; voglio provar se mi riesce, voglio parlare a don Fausto; fidatevi di me, che son uomo che sa maneggiare un affare. (in atto di partire)

Placida. No, non v’incomodate. (a don Isidoro, trattenendolo)

Luigia. Lasciate pur ch’egli vada.... (a donna Placida)

Isidoro. Con due delle mie parole mi comprometto di persuaderlo. Gli parlerò in disparte. Principierò il negozio, e voi lo terminerete.

Placida. Eh, il signor don Fausto....