Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1912, XIV.djvu/458

450 ATTO PRIMO


Placida. Oh, in questo poi perdonatemi. Ho pratica bastantemente del mondo. Conosco il bene ed il male; e dicovi francamente, che un uomo non può educare una fanciulla a dovere, e che Luigia ha bisogno di esser più custodita.

Berto. È vero che io ho le mie faccende, e non posso essere sempre qui, ma in luogo mio vi capita un certo don Anselmo, che è un uomo saggio, un uomo veramente da bene.

Placida. Ah! m’inspirasse il cielo valor bastante per dimostrarvi l’inganno ed il pericolo in cui vivete. Se un uomo da solo a sola, qualunque siasi, trovasi sovente con una giovinetta vezzosa, qual sarà il presontuoso che si comprometta resistere, senza timor di cadere? Sia pure don Anselmo un vecchio, anche ne’ vecchi, ad onta delle nevi, si accende il fuoco. Sia egli pure forte, virtuoso e da bene, quanti esempi non abbiamo noi, che anco i più saggi hanno pericolato nelle occasioni? Signore, tutti siam di una pasta, tutti fragili ed a pericolare soggetti.

Berto. (Parla come un libro stampato). (da sè)

Placida. Avrete cuore, signore, di esporre la paglia vicina al fuoco?

Berto. Ci ho un po’ di dubbio, per dire il vero. Ci penserò un poco meglio prima di farlo.

SCENA VIII.

Don Isidoro e li suddetti.

Isidoro. Don Berto, le pernici sono belle e comprate, e le ho preparate e conciate con le mie mani, e sentite che cosa ho fatto. Ho preso del pan francese, e l’ho tagliato a mezzo, e l’ho scavato ben bene, e dentro a quattro mezzi pani scavati ho cacciato il di dietro delle quattro pernici, e le ho fatte infilzar nello spiedo. Ora girando le pernici dinanzi al fuoco, cola il grasso del pane e il pane s’inzuppa, e penetrando le goccie di quel buon grasso, il pane si arrostisce, e s’ingrassa. Oh che roba! o che piacere è il mangiar quel pane grasso arrostito! Subito che le pernici son cotte, ho ordinato che diano in tavola, e sentirete che roba.