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448 ATTO PRIMO


vedova, giovane, accostumata all’odierno sistema delle vanarelle. Vorrà le solite conversazioni; vorrà i serventi al fianco, e se ciò è male per lei, sarà peggio ancora per quella innocente di sua sorella. Ohimè! inorridisco solo in pensarlo.

Berto. Voi mi mettete una tal pulce in capo, che quasi quasi mi pento di aver preso meco cotesta vedova; ma la doveva io lasciare abbandonata senza nessuno de’ suoi parenti?

Anselmo. Tutto si doveva fare, fuori che introdurla a convivere con sua sorella.

Berto. Per ora non ci vedo altro rimedio.

Anselmo. Sì, ci è benissimo il suo rimedio, basta volere. Il cielo non abbandona, quando a lui si chiede consiglio. La vedova non deve star sola, l’accordo anch’io; pur troppo il tristo mondo e la mala sua inclinazione potrebbero far parlare di lei. Fate così, don Berto, fate quel che io dico, e ve ne troverete contento. Fino che donna Placida si rimariti, ponetela in un ritiro, assicurate il suo decoro, la vostra quiete, e l’innocenza della sorella minore.

Berto. Questa separazione mi piace, ha del ragionevole, del buono; ma non sarebbe meglio lasciare in libertà la vedova, e mettere in un ritiro quell’altra?

Anselmo. No, don Berto, non vi consiglio. Donna Luigia ancora ha bisogno della mia educazione. È vero che non ha la madre, ma siamo in due, che suppliscono. Voi col buon esempio, io con i buoni consigli, possiamo perfezionarla nel sentiero della virtù. Levatele d’intorno questa vedova presontuosa, e vedrete donna Luigia umile, rassegnata e ubbidiente.

Berto. Caro don Anselmo, veggo che mi parlate con vero amore. Trovate voi il sito per collocarla. Trovatele voi il ritiro, ed io la faccio andare di bel domani.

Anselmo. Sia ringraziato il cielo, che le mie parole vi hanno toccato il cuore. In queste cose ci vuol sollecitudine e risoluzione; vado subito a rintracciare il luogo. Riposate sopra di me, farò di tutto per la quiete del caro amico. (E per assicurarmi, se io posso, il possedimento di quella cara giojetta). (da sè, e parte)