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442 ATTO PRIMO


Placida. Sì, è vero. Sono tre quei che mi fanno la corte. Don Fausto, don Sigismondo ed il capitano; ma credetemi, non farà niente nessun di loro, ho troppo a cuore la mia libertà.

Luigia. Fate così, sorella, se per voi sono di soverchio, mettetemi in grazia di qualcheduno di loro.

Placida. Perchè no? Quale scegliereste, se stesse in vostra mano la scelta? Appresso a poco li conoscete. Sapete che tutti tre hanno i loro pregi ed i loro difetti. Don Sigismondo è un cavaliere compitissimo, nobile e di buon talento, ma è soggetto alle astrazioni di mente, che spesse volte pare uno sciocco. Il capitan Ferramondo è un uomo di buonissimo cuore, valoroso, stimato, ma è fieramente caldo, impetuoso, e nelle cose sue pensa troppo alla militare. Don Fausto poi è un avvocato di molto credito. Sapete come mi ha difesa bene contro de’ miei cognati, che mi volevano contrastare la contradote; oltre l’abilità del suo mestiere, è un uomo colto, gentile; non ha altro difetto, se non quello di essere un poco caricato nelle parole, ne’ complimenti, e qualche volta ne’ gesti, e nelle riverenze ancora.

Luigia. Parmi che non siano difetti da farne caso. L’astrazione non è cosa che incomodi; la collera si può evitare conoscendo il temperamento; e la caricatura dell’avvocato è piacevole, e non può mai diventare noiosa.

Placida. Per quel che io sento, vi piacerebbero tutti tre.

Luigia. Io non ne disprezzo nessuno.

Placida. Chi viene? oh per l’appunto eccone uno di loro.

Luigia. Questi credo sia l’avvocato.

Placida. Sì certo, che vi pare di lui?

Luigia. Dall’aspetto, non si può giudicare che bene.

Placida. Andate, sorella, lasciatemi seco lui discorrere de’ miei affari. Spero che verranno quest’altri ancora a consolarsi meco per il mio novello soggiorno. Vedeteli, esaminateli, e poscia ne parleremo; non dubitate, ve ne cederò qualcheduno.

Luigia. (Ed io credo non ne voglia ceder nessuno. Se non si vuol maritare, la conosco mia sorella, avrà la vanità di vederli tutti languire). (da sè, indi parte)