Placida. Vada le mille miglia l’empio lontan da noi,
E vada anche la serva a fare i fatti suoi.
Berto. Vada la serva ancora.
Clementina. Pazienza. Paoluccio,
Di’, mi vorrai più bene?
Paoluccio. Eh, non son così ciuccio.
(parte)
Clementina. Domandovi perdono. Povera Clementina!
Venuto è un impostore a far la mia rovina.
Tardi averò imparato a spese mie, signori:
La dote guadagnarla dobbiam con i sudori.
Quando è male acquistata, il ciel così destina.
In semola va tutta del diavol la farina. (parte)
Berto. Cose, cose... son cose da perdere il cervello.
Placida. Che fa don Sigismondo? Si perde in sul più bello.
Eccolo astratto in guisa che pare un insensato.
Dico: don Sigismondo.
Sigismondo. Son qui. Chi m’ha chiamato?
Placida. In mezzo a tanti strepiti siete in distrazione?
Sigismondo. Di rimanere estatico non ho forse ragione?
Pieno di tristi è il mondo. In che stagion mai siamo?
Appunto. Che risolve la giovane ch’io bramo?
Placida. A voi, donna Luigia.
Luigia. Germana, io non dispongo.
Placida. Il signor zio che dice?
Berto. Figliuola, io non mi oppongo.
Placida. Dunque la man porgete al cavalier che vi ama.
Luigia. Ecco la man.
Sigismondo. Sì, cara, contenta è la mia brama.
Berto. Alfin voi mi lasciate, nipote mia carissima;
Siete contenta almeno?
Luigi. Signor, son contentissima.
Berto. Ed io resterò solo? Voi pure abbandonarmi?
Voi nel ritiro andrete? (a donna Placida)
Placida. Non penso a ritirarmi.