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428 ATTO QUINTO
Fausto.   La mano.

Placida. (Misera me!) Lasciatemi.
(dopo averle data la mano per sollevarlo, don Fausto seguita a tenerla stretta.
Fausto.   Voi lo sperate invano.
Placida. Per pietà!
Fausto.   No, mia vita.
Placida.   Lasciami, traditore.
Fausto. Se questa mano io lascio, mi donerete il cuore?
Placida. Oimè!
Fausto.   Sì, mio tesoro, vedo che amor mi aiuta.
Placida. Prendi la mano e il cuore: misera! io son perduta.
Fausto. Perdite fortunate, che vagliono un tesoro.
Placida. Vien gente a questa volta. Si salvi il mio decoro.
Fausto. Cedere un cuore onesto vi par sia riprensibile?
Placida. Dunque ho il mio cor ceduto? ancor parmi impossibile.

SCENA VI.

Don Berto, don Sigismondo, don Ferramondo, don Anselmo, don Isidoro e i suddetti.

Berto. Voi ci avete piantati per non tornar mai più.

(a don Fausto)
Fausto. Parlai colla fanciulla.
Berto.   E ben, che cosa fu?
Fausto. Ella a voi si rimette.
Anselmo.   Egli a me la concede.
(a don Fausto, parlando di don Berto)
Sigismondo. Parli donna Luigia; a lei si presti fede.
Ferramondo. Dica liberamente la figlia il suo pensiero.
Fausto. Pria la maggior germana si può sentire.
Berto.   È vero.
Dite l’opinion vostra. Il punto lo sapete.
(a donna Placida)
Placida. So tutto, signor zio. Dirò, se il permettete.