Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
LA VEDOVA SPIRITOSA | 425 |
SCENA V.
Donna Placida e don Fausto.
Fausto. (L’amor della germana mi somministra un gioco).
(da sè)
Placida. Miraste, come facile al suo destin s’accheta?
Quanto è di me Luigia più docile e discreta?
Di lei ditemi franco quello che il cuor vi dice.
Fausto. Dicemi che fia d’essa il possessor felice.
Placida. Tanta felicitade perder non vi consiglio.
Fausto. Amor dalla sua reggia condannami all’esigilo.
Placida. Qual Proteo amor sicangia, e regna in più d’un petto:
La reggia ha del piacere, ha quella del dispetto.
Se vi esiliò da un cuore, ove tiranno impera,
V’invita alla sua sede più dolce e men severa.
Fausto. Siano le antiche leggi dure, penose e gravi,
Mi tiene alla catena chi ha del mio cuor le chiavi;
E libertà quest’alma invan cerca e pretende,
Finchè un amor tiranno al mio piacer contende.
Placida. Poss’io nulla a pro vostro?
Fausto. Ah, sì, tutto potete.
Placida. Ite a miglior destino, che libero già siete.
(s’allontana, e in distanza siede)
Fausto. Ho in libertade il piede? grazie, pietoso amore.
Ma dove andar io spero, se ho fra catene il core?
Veggo chi mi discaccia. Conosco a che m’invita.
Sarà del laccio il fine il fin della mia vita.
Ma o non intendo il bene che amor farmi destina,
O vuol l’ostinazione formar la mia rovina.
Scuotasi il giogo alfine che amor m’impose al dosso.
Fuggasi il crudel regno. Ah, che fuggir non posso.
(mostra voler partire, si allontana, ed abbandonasi sopra una sedia distante.