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422 | ATTO QUINTO |
(a donna Placida)
Isidoro. Con due parole buone vi spianerò la strada.
Gli parlerò in disparte. Son galantuomo onesto.
Principierò il negozio, voi compirete il resto.
Placida. Eh, che don Sigismondo...
Isidoro. Eh, che va ben così.
Gli dico due parole, e ve lo mando qui.
Don Sigismondo alfine di mente è difettoso.
(Don Fausto è più corrente, più ricco e generoso).
(da sè, e parte)
SCENA II.
Donna Placida e donna Luigia.
Luigia. Sorella, a quel ch’io vedo,
Preme a voi pur don Fausto. L’amate? io ve lo cedo.
Placida. Me lo cedete? infatti grand’obbligo vi devo!
Che fosse cosa vostra don Fausto, io non credevo.
Luigia. Don Fausto cosa mia? Voi mi mortificate.
Placida. Ei non è cosa vostra, e cederlo vantate?
Luigia. Lo dissi all’impazzata, senza pensarvi su.
Lo so che dissi male, non parlerò mai più.
SCENA III.
Paoluccio e dette.
Placida. È lo zio che mi cerca?
Paoluccio. Per dir la verità,
Chiamar donna Luigia ei sol mi ha incaricato;
Ma quel che vi desidera, signora, è l’avvocato.
Placida. Andate voi, germana, non serve ch’io ci venga;
Senza di me, puol essere da voi che più si ottenga.