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420 ATTO QUINTO
Isidoro. M’inchino a queste due degnissime sorelle.

Luigia. Vi è novitade alcuna?
Isidoro.   Ne porto delle belle.
L’istoria è graziosa; udir se la volete,
Porgetemi l’orecchio e non m’interrompete.
Dopo che don Anselmo ebbe con voi quel certo
Battibuglio rissoso, corse a trovar don Berto.
Disse che donna Placida volea darvi marito,
Ch’era don Sigismondo un pessimo partito,
Che alfine una nipote dal zio dovea dipendere,
E che l’arbitrio in questo vi si dovea contendere.
Don Berto che in sua vita non disse mai di no,
Dissegli: Sì signore, io lo contenderò.
Soggiunse don Anselmo: Alla figliuola audace
Si vede che lo stato di libera non piace.
Onde di collocarla dee accelerarsi il dì;
Don Berto, maritatela. Ed egli: Signor sì.
Per se voleva chiedervi il celebre volpone,
Ma avea nello scoprirsi non poca soggezione.
Disse: Lasciate fare, che il ciel provvederà;
Ritroverò un partito che a lei si converrà.
Per zelo d’amicizia di faticar prometto.
Mi permettete il farlo? Ed ei: Ve lo permetto.
In questo, a noi si vede venir don Sigismondo;
Appena ci saluta, pareva un furibondo.
Rivolgesi a don Berto, gli chiede la fanciulla.
Egli confuso al solito, restò senza dir nulla.
Pretende don Anselmo di dir la sua ragione;
Quell’altro arditamente parla, contrasta, oppone.
Si scaldano i rivali. Uno ha il bastone in mano,
L’altro una sedia, e in questo arriva il capitano.
Trema il vecchio in vederlo; quell’altro prende fiato;
Don Berto si confonde; io tiromi da un lato.
Il capitan chiamato a dare il suo giudizio,
Dice che non è cosa da farsi a precipizio.