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390 ATTO TERZO

SCENA V.

Don Isidoro e detti.

Isidoro. Don Berto, don Anselmo, che si fa? Non si mangia?

Anselmo. Abbiamo un interesse da terminar per ora.
Isidoro. Sonato è il mezzogiorno, e non si mangia ancora?
Berto. Abbiamo un interesse.
Isidoro.   Tutte le cose a tempo.
Vi è per parlar, per scrivere, per divertirsi il tempo.
Ma quando il cuoco dice che di pranzare è tempo,
Si mangia e si procura di terminar per tempo.
Le pernici son cotte; il pan bene arrostito;
Par nello spiedo un pezzo di zucchero candito.
Di dentro e per di fuori già penetrato è l’unto,
E perde il suo sapore, se non si mangia in punto.
Berto. Andiam, che parleremo quando averem pranzato.
(a don Anselmo)
Anselmo. Vi par che sia l’affare da ponere in un lato?
Dee l’uomo per la gola lasciar gli affari suoi?
Berto. Aspettate anche un poco, si mangerà dopoi.
(a don Isidoro)
Amico degli amici, vorrei piacere a ognuno:
Fra voi accomodatevi, per me sarà tutt’uno.
Isidoro. Via, don Anselmo, andiamo, che vi sarò obbligato.
Proprio mi sta sul core quel pane abbrustolato.

SCENA VI.

Paoluccio e detti.

Paoluccio. Signore, un forastiere la vedova domanda.

Sono venuto a dirlo in prima a chi comanda.
(a don Berto)
Isidoro. Non si riceve alcuno. (a Paoluccio)
Anselmo.   Colei è la gran diavola.
Berto. Ora non si riceve. (a Paoluccio)