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LA VEDOVA SPIRITOSA 377
Berto. Bene. Di lui non parlo, ma parlovi di questo.

Chi è quel che ora è venuto?
Placida.   È un cavaliere onesto.
Era di mio consorte amico sviscerato;
Mi ha sempre, finch’ei visse, in casa praticato.
Or che tornata io sono in casa dello zio,
Trattar non mi è permesso con gente da par mio?
Andrò, non dubitate, fra poco a ritirarmi,
Ma intanto che ho da dire a chi vuol visitarmi?
Lo zio non lo permette? lo zio severo e strano
Vuol vivere in sua casa da stoico, da villano?
Siete pur nato bene; vostro fratel maggiore
Fu pur dei cavalieri lo specchio e lo splendore.
Si ha da dir che lo fate per secondar gli amici?
Cosa diran le lingue di voi mormoratrici?
Per me, poco ci penso; voi comandar dovete.
Licenzio il cavaliere?
Berto.   Fate quel che volete.
(dopo aver pensato un poco, e parte)
Placida. (Ei cede facilmente a tutte le ragioni). (da sè)
Venga don Sigismondo. Ditegli che perdoni.
(a Paoluccio che parte)

SCENA VI.

Donna Placida, poi don Sigismondo.

Placida. Teme per la fanciulla! sarebbe il timor saggio,

Se non lo promovesse un impostor malvaggio.
Ma parla per se stesso l’uom che si finge onesto.
Son tanto più in impegno di collocarla, e presto.
Sigismondo. Signora, compatite se vengo a importunarvi...
Placida. Anzi mi fate onore. Vi prego accomodarvi, (siedono)
Sigismondo. Quei quadri che ho osservato di là, del Tintoretto,
Io non li ho più veduti, mi par, nel vostro tetto.
Placida. Ci siete stato ancora qui in casa di mio zio?
Sigismondo. Ah! sì, avete ragione. Col capo ove son io?