Son queste, a me ben note, massime tutte buone,
Ma ponderar conviene il cuor delle persone.
Io sarò quel malvagio? Oh ciel! sarò quell’empio,
Di cui narran le storie il luttuoso esempio?
Non credea meritarmi da voi sì fiero torto,
Per mortificazione lo prendo e lo sopporto.
Merito peggio, è vero, l’accordo e lo protesto;
Reo di più colpe io sono, ma non lo sono in questo.
Pazienza. In questo mondo tutto soffrir conviene.
Don Berto, io vi perdono.
Berto. (Ah che uomo da bene!)
(da sè)
Basta... sia per non detto; non ne diciam più nulla.
Che vada donna Placida, che resti la fanciulla.
Anselmo. No, non vo’ che si dica....
Berto. Io il dico ed io lo voglio.
Anselmo. Da voi più non ci vengo.
Berto. Oh, questo è un altro imbroglio.
Se voi mi abbandonate, chiuder sarò forzato
Anche donna Luigia nel luogo disegnato.
Anselmo. Oh amicizia, oh amicizia! a che son io costretto?
Verrò; che resti in casa.
Berto. Che siate benedetto!
L’altra anderà ben presto. Di ciò l’ho già avvisata.
Anselmo. Sì facile al ritiro che siasi accomodata?
Berto. Eh, quando parlo, parlo. Quando ho ragion, non cedo.
Ella vi andrà, vi dico.
Anselmo. (Ancora io non lo credo), (da sè)
Berto. Quant’obbligo vi devo! Voi non faceste poco,
A ritrovar sì presto l’occasione e il loco.
Dov è? si può sapere?
Anselmo. Sì, lo saprete poi.
Per ora un’altra grazia desidero da voi.
Non per me, che di nulla al mondo io non mi curo,
Ma far, qualora posso, del bene altrui procuro.