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370 | ATTO SECONDO |
SCENA II.
Don Anselmo, poi don Berto.
Col furbo aver che fare, anzi che collo stolto.
Lo so che il mio disegno vede patente e chiaro,
Ma in mio favor l’impegna la gola del danaro;
E se coi suoi consigli aiuta i desir miei,
Anch’io la mia parola vo’ mantener con lei.
Se a tutte le passioni resistere non so,
Vogli’esser pontuale in quello che si può.
Berto. Caro il mio don Anselmo, siete già ritornato!
Anselmo. Sì, amico, ed il ritiro l’ho bello e ritrovato.
Berto. Ho piacer; donna Placida sarà contenta anch’ella.
Ma è ben che ci mettiamo ancor l’altra sorella.
Anselmo. Don Berto, vi scordaste sì presto il mio consiglio?
Berto. A una fanciulla in casa più facile è il periglio.
Non può farle la guardia una servente, un zio;
Pericolar potrebbe.
Anselmo. Come? non ci son io?
Berto. Lasciate che vi parli.... che diavi un arricordo.
(Dirò quel ch’ella disse, se più me ne ricordo).
(da sè)
Se un uom con donna giovane a conversar si metta,
Chi è quel che prosontuoso resister1 si prometta?
Sia virtuoso e forte; abbiam più d’un esempio,
Che il saggio in occasione è divenuto un empio.
Tutti siam d’una pasta... e siamo in conclusione
Tutti ad errar soggetti.
Anselmo. (So di chi è la lezione), (da sè)
Ah don Berto, pur troppo l’uom di malizia pieno
Di convertir procura il balsamo in veleno.
- ↑ Ed. Zatta: Chi è quel prosontuoso che regger ecc.