Son così stravagante nel gusto di cibarmi,
Che il grasso di pernice potrebbe stomacarmi.
(a don Isidoro)
Berto. Questo mi spiacerebbe.
Isidoro. Ciascuno ha i gusti suoi.
Se voi non ne volete, le mangerem da noi.
(a donna Placida)
Berto. Da noi. (a donna ’Placida)
Placida. L’odor mi annoia.
Berto. L’annoia, poverina.
(a don Isidoro)
Isidoro. Che stia nella sua camera. (a don Berto)
Berto. Sì, per questa mattina.
(a donna Placida)
Placida. Sì signor, volentieri, si faccia il suo consiglio.
(a don Berto)
Per altro, perdonatemi, di voi mi maraviglio.
(a don Isidoro)
È ver che in questa casa non vanto autorità;
Ma si usa colle donne trattar con civiltà.
Permettere ch’io stia rinchiusa in una stanza
Per satollar la gola, vi par discreta usanza?
Signor, spiacemi il dirvi che tai villani amici
(a don Berlto)
Non mertano di essere trattati con pernici;
Ma son de’ pari suoi degnissime vivande
La paglia ed il trifoglio, il frutice e le ghiande.
Andrò fra pochi giorni a ritirarmi in pace;
Potrete i vostri beni gittar con chi vi piace,
Ma almen per carità pensate alla nipote,
Di cui lasciovvi il padre in man la propria dote.
Questi che vi circondano, ingordi per costume,
Non pensan che a se stessi. Il ventre è il loro nume.
E voi che in soddisfarli siete corrivo e pronto,
Dovrete al cielo e al mondo del speso render conto.