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298 ATTO TERZO
Questo sarebbe accrescer afflizione all’afflitto,

E pormi una vergogna, un’onta ed un delitto.
Oh, se venisse il Conte a consigliarmi almeno;
Trarmi saprebbe, io spero, ogni malìa dal seno.
Il messo non ritorna, che a me venir l’invita:
Chi sa che non mi chiami troppo importuna e ardita?
Però vuò lusingarmi ch’ei venga, e al mio periglio
Provido mi offerisca la norma ed il consiglio.
So ben ch’egli vicino, giovine, vago e umano,
Orribile più molto può rendermi il lontano.
Ma tanto nel discorrere è saggio ed è prudente,
Che condurrammi al meglio, ancor che sia presente.
Temo la taccia nera di sconoscente, ingrata,
Temo col sposo informe vedermi accompagnata.
So qual piacer si prova mirando un vago oggetto;
Pavento di don Flavio orribile l’aspetto.
Vorrei colla virtude far forza, e superarmi;
Ma tremo di me stessa, però vuò consigliarmi.

SCENA II.

Don Claudio e la suddetta; poi Servitori.

Claudio. Madama, ho già risolto troncar la mia dimora;

Vengo per riverirvi, e licenziarmi or ora.
Florida. Udiste il caso strano del povero mio sposo?
Claudio. Intesi ch’ei ritorna in patria vittorioso.
Florida. È ver, ma le sue glorie non mi rallegran molto;
Egli ha perduto un occhio, e difformato ha il volto.
Claudio. (L’arte di lui comprendo, facciam dunque la prova).
(da sè)
Capisco che vi deve affliggere tal nuova.
L’amor che a lui vi lega, lo brama a voi vicino;
Ributta una consorte l’orror del suo destino.
Se foste a lui congiunta, vosco l’avreste ognora:
Buon per voi, che sposata non vi ha don Flavio ancora.