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IL CAVALIER DI SPIRITO 285
Vonn’essere adulate, vonn’essere blandite:

Voglion veder gli amanti languenti, appassionati,
E fino i lor difetti deon essere lodati.
E quando del servire il premio aver si crede,
Abbiam d’ingratitudine la perfida mercede.
Gandolfo. Per me le compatisco le vostre cittadine;
Farebbero lo stesso ancor le contadine,
Se fossero gli amanti, che nati sono qua,
Simili nel costume a quei della città.
La donna col cavallo io metto in paragone,
La rende assai più docile chi adopera lo sprone.
Una bacchetta in mano fa che il polledro impari,
La donna colla sferza si domina del pari.
Chi troppo la seconda, chi troppo l’accarezza,
Non speri ch’ella soffra al collo la cavezza. (parte)

SCENA II.

Don Claudio solo

Reggere un fier leone può un uom sagace, esperto,

Anzi che il cuor di donna volubile ed incerto.
Qual arte non usai per vincer la crudele?
Di me chi più costante, di me chi più fedele?
E alfin la disumana ad ingannar sol usa,
Condanna il mio rispetto, e di viltà m’accusa.
Tento cangiar lo stile, ma spero invan mercede,
Spero conforto invano da un’alma senza fede.
Sì, senza fede, ingrata tu sei, lo scorgo adesso,
Se inganni, se deludi per fin lo sposo istesso.
Egli a sudar fra l’armi va cogli eventi incerti,
Tu con novelli oggetti ti spassi e ti diverti.
Questo pensier funesto del tuo temperamento,
Coi danni del rivale minora il mio tormento;