|
IL CAVALIER DI SPIRITO |
273 |
Ma che di me più vago, ma che di me più degno,
Valse gli affetti vostri a metter in impegno.
Florida. Se col suo volto il vostro a confrontar mi metto,
Ambi vi trovo degni d’amore e di rispetto.
Se i meriti d’entrambi considerare io voglio,
Trovo le virtù eguali, pari stimarvi io soglio;
Ma quel, che più coraggio ebbe1 a parlar di lui,
Mi fe’ più da vicino vedere i merti sui.
La stima amor divenne, l’amore indi mi ha spinto:
Ambi in me combatteste, ma il coraggioso ha vinto.
Claudio. Nè sorgerà più mai della speranza un lampo,
Che possa il mio rivale cedermi un giorno il campo?
Florida. Dell’avvenire in noi troppo è l’evento incerto.
Claudio. Perder non vo’ per questo della costanza il merto.
Della viltà mi pento, che mi ha finor tradito,
Sarò, quanto fui timido, in avvenire ardito.
Florida. E perchè il nuovo ardire meco non opri insano,
Don Claudio, dal mio tetto andatene lontano.
Claudio. Ma che da me temete, a non curarmi avvezza?
Florida. Temo, ve lo confesso, del cuor la debolezza.
Lungi dal nuovo amante, sposo mio non ancora,
Temo la nuova impresa di un’alma che mi adora.
Itene da me lungi; toglietemi al periglio.
Itene, vel comando, se poco è il mio consiglio.
Claudio. Barbara, sì v’intendo, l’abbandonarmi è poco,
Se ancor gli affanni miei voi non prendete a gioco.
Partirò; a un tal comando resistere non deggio.
Ah, son nell’obbedirvi, ah sì, son vile, il veggio.
Dovrei, qual m’insegnaste, esser d’ardito affetto,
Ma pur d’un amor vero è figlio il mio rispetto.
Faccia di me la sorte quel che può farmi irata.
Vi amo crudele ancora. Vi amerò sempre... ingrata.
(parte)
- ↑ Nelle edizioni del Settecento leggesi ebbi.