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246 ATTO QUINTO
Per Caterina. Ah, che il mio cuor fu prossimo

A farmi al cielo e alla natura orribile.
Panfilo. (L’ereditade se n’è andata in bricioli).

SCENA VI.

Messer Luca, Nutrice.

Luca. O Provvidenza, che dell’uman genere

Sei reggitrice, e nei maggior pericoli
Offri lo scampo a chi in error precipita,
Se tu non eri che in tempo le labbia
Movevi di costei, chi sa a qual termine
Condur poteami passione acerrima?
O Caterina mia, vieni alle braccia
Non del tutor, non dello sposo (in odio
Forse al tuo cor), ma del tuo dolce e tenero
Padre amoroso, che ad amar principiati
Con amor sconosciuto ai dì preteriti.
Nutrice. Dov’è, messere, Caterina?
Luca.   Cercala
Nelle sue stanze, e dille che a me vengane,
Ma lascia a me il piacer che possa io essere1)
Il primo a darle il fortunato annunzio.
Nutrice. Perdonate s’io fui di sì indegn’opera
Troppo finora, a mio rossor, partecipe.
Luca. Il piacer che ora provo, fa ch’io scordomi
Tutto il passato, ed il perdon concedoti.

SCENA VII.

Placida, messer Luca.

Placida. Le belle nozze che il padron proposemi!

Il contratto, signor, quando si stipula
Fra me ed Orazio?

  1. Ed. Zatta: di poter essere.