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242 ATTO QUINTO
Eccolo innanzi a te sommesso e languido,

Pieno d’amor. So che tu l’ami, e tentano
Con un inganno i desir tuoi deludere.
E se lo perdi, non sperar sì facile
Altro trovar, che più di lui ti meriti.
Ricco è di beni di fortuna, carico
Di virtù, di saggezza, e in volto amabile.
Caterina. (Ah, che violenza nel mio cuor far sentomi).
Orazio. Deh gioia mia, se tutto ciò non bastavi,
Le preci mie da voi pietade ottenghino.
Eccomi al vostro piè; bella, vi supplico
Piegate il cuore alle amorose smanie
D’un che vi adora, e che morrebbe il misero,
Se astretto fosse tal bellezza a perdere.
Quaglia. Tu sei più cruda di leone ed aspide,
Se non ti pieghi ad un pregar sì tenero.
Caterina. Chi mi assicura che colui che parlami
Sia padre mio?
Quaglia.   Va’, se tu ancor ne dubiti,
Lascioti in preda del rapace ed avido
Insidiator della tua vita. Sposalo.
Orazio, andiam.
Caterina.   No, per pietà, fermatevi.
Quaglia. O la mano gli porgi, o che abbandonoti
Al tuo destin.
Orazio.   Cosa non chiede illecita
Ad onesta fanciulla.
Quaglia.   Il tempo perdere
Non si dee invano; o che ti lascio, o sbrigati.
Caterina. (Stelle, che fo?)
Orazio.   Se viene il vecchio a giungere,
Non vi è più scampo.
Quaglia.   Se il tutor sorprendeci,
Sei perduta per sempre.
Caterina.   Ah padre, ah Orazio