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220 ATTO TERZO
Gli parlassi per me.

Placida.   Sì, figlia amabile,
Lo farò volentieri. Il dì si approssima,
Che ambe liete e contente abbiamo ad essere:
Caterina, sappiate che anch’io trovomi
Alle nozze vicina.
Caterina.   Oh cara Placida,
Quanto col tuo il mio piacere aumentasi!
Di’, chi sarà il tuo sposo?
Placida.   Indovinatelo.
Caterina. Che l’indovini? L’indovino. È Panfilo.
Placida. No, v’ingannate. Lo mio sposo è Orazio.
Caterina. Quanti Orazii vi sono?
Placida.   Esser ne possono
Parecchi, qual vi son parecchi Ambrogii,
Parecchi Carli e parecchi Carpofori.
Caterina. Oh bella! i sposi nostri il nome han simile.
Placida. Simile nome! vi è poca distanzia
Da Orazio a messer Luca?
Caterina.   Non capiscoti.
Messer Luca è il tutor.
Placida.   Tutor? che imbroglio,
Caterina, è codesto?
Caterina.   Tu m’intorbidi
Malamente il pensier.
Placida.   Dite, spiegatevi:
Chi è il sposo vostro?
Caterina.   Non è Orazio?
Placida.   È un cavolo.
Ora capisco lo sgraziato equivoco.
È messer Luca che vi vuole: e il giovane
Di me è invaghito, e dal padron medesimo
Pochi momenti son, mi ha fatto chiedere.
Figliuola mia, voi vi pigliaste un granchio.
Caterina. (Misera me, già di vergogna accendomi).