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LA PUPILLA 213
Ch’io prefesisca sopra ogni altro titolo

Quello di sposo.
Orazio.   A far cosa v’inducono
Ragionevole, santa, e ogni or lodevole.
Caterina. Ma ne ho vergogna.
Orazio.   Meco discacciatela.
Tre mesi or son, che dal balcon si parlano
I vostri occhi ed i miei. Le labbra aggiunsero
Qualche parola, e lusingar mi fecero
I detti e i sguardi, che non dispiacevole
Siavi il mio amor. Alfin parlare indussemi
La mia passion che più ogni giorno aumentasi.
Il tutor vostro che può sol disponere
Della pupilla, per mia sposa accordavi....
Caterina. Io sposa vostra?
Orazio.   Sì, cara, non disselo
Messer Luca medesmo, ed ancor Placida?
Caterina. (Oh mia ignoranza! mi credea volessemi
Il tutore in isposa, ed ora avveggomi
Dell’error fatto. Dunque mi destinano
Orazio?)
Orazio.   Via, mia cara, confidatevi
Con chi vi adora.
Caterina.   (Non so che rispondere).
Orazio. Un vostro si può ravvivar quest’anima.
Caterina. Dal tutore io dipendo.
Orazio.   Ei testè dissemi,
Che voi contenta, sarà contentissimo.
Che rispondete voi?
Caterina.   Io? perdonatemi.
Cose son queste ch’io non giungo a intendere.
Egli faccia di me quel che è il mio meglio.