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un sì essenziale precetto. Oh quanti beni ne deriverebbero alla Civil Società! Oh quanti miglior Vassalli avrebbero i Principi, quanto maggior difesa la Religione, quanto maggior rispetto esigerebbero i Cavalieri costituiti da Dio per esempio degl’inferiori! A che vale la Nobiltà e la ricchezza, dove manchi la scienza del buon costume? V. E. merita i primi onori del Mondo per la purezza del Sangue de’ suoi Maggiori, per le cospicue parentele che a Pontefici e Principi e valorosi Eroi la congiunse, per il ricchissimo patrimonio che la fa risplendere fra i più doviziosi Cavalieri d’Italia, per gl’infiniti onori antichi e moderni di sua Famiglia, a’ quali ultimamente s’aggiunse l’insigne Ordine del Toson dì Oro conferitole dall’Augusta Imperatrice Regina. Tutto ciò La rende degna di venerazione ed omaggio; ma mi sia permesso di dire che a tutti questi sì eccelsi beni prevale in V. E. il bene massimo della Virtù, e che da questa tutti i doni della provvidenza acquistano il vero pregio ed il più luminoso splendore. E per dir vero, riesce malagevole e duro l’inchinarsi ai Figli della Fortuna sol perchè da essa beneficati; ma allora quando accoppiasi in un oggetto all’altezza del suo destino il merito della persona, si benedice l’autore di sua grandezza, giustizia chiamasi la felicità del suo stato, e volentieri si venera, si rispetta e si ama. Questo è il maggior tesoro che ai cari Figli l’E. V. procura, e la Nobilissima Genitrice, di Lei Consorte, che al Sangue illustre de’ Capizucchi unisce la più perfetta ed esemplare Virtù, contribuisce infinitamente ad un’opera sì essenziale. Il metodo di V. E. nell’istruire coll’esempio e coi precetti i Figliuoli non è severo, ma docile e temperato, conoscendo Ella benissimo, che giova più guadagnare i tenerelli animi coll’amore, di quello vaglia il costringerli con asprezza. Ella perciò non niega loro quegli onesti divertimenti che valer possono a recreare lo spirito, e fra questi non crede indegne le mie Commedie, conducendovi Ella stessa il Cavalierino suo Primogenito, cosa che, sendo io in Roma, mi consolava infinitamente. Pur troppo il piacer sommo ch’io ebbi di vedere codesta alma Città fortunata, che dopo essere stata la Padrona del Mondo, passò ad essere la Reggia della Cattolica