Isidoro. Al nobile progetto anch’io pronto annuisco.
Promotor delle feste, signori, io mi esibisco.
Lucio. Per me un riguardo solo faceami ardere in seno1
La voglia di consorte: per non esser di meno.
Se tutti siamo eguali, se abbiamo egual destino,
Sì, mi contento d’essere anch’io concittadino.
Berenice. Voi che dite, don Claudio?
Claudio. Finor fui sofferente,
Sperando farmi un merito nel cuor riconoscente.
Ora il mio disinganno mi fa restar scontento,
Ma del rispetto usatovi per questo io non mi pento.
Voi meritate tutto, vi servirò qual lice.
Basta che, s’io mi dolgo, altri non sia felice.
Berenice. A voi, don Filiberto.
Filiberto. L’ultimo adunque io sono.
Berenice. All’ultimo per uso sempre si lascia il buono.
Filiberto. Ecco le mie speranze dove a finir sen vanno.
Berenice. Io non ho colpa in questo; vostro fu sol l’inganno.
Filiberto. Non diceste d’amarmi?
Berenice. Vi amo cogli altri unito.
Filiberto. Questa è la stima, ingrata?
Berenice. Non vi ho alcun preferito.
Filiberto. Se d’accordar ricuso, di me che destinate?
Berenice. Ve lo dirò con pena; ma deggio dirvi: andate.
Filiberto. No, crudel, non vi lascio. Deggio servirvi ancora;
E voglia il ciel ch’io possa servirvi infin ch’io mora.
La dubbietà rendevami ardente al sommo eccesso;
Ora il mio disinganno m’ha vinto, e m’ha depresso.
Giuro a voi, mia sovrana, giuro ai compagni miei,
Più non parlar di nozze; mentir non ardirei.
Quieta vivete pure, in pubblico vel dico,
Son cavalier d’onore, sono di tutti amico.
Berenice. Ora mi siete caro, or mi piacete a segno,
Che di chi sente in faccia... ma no, stiasi all’impegno.
- ↑ Ed. Zatta: ardire in seno.