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LA VILLEGGIATURA 87


Ciccio. Ti perdono, ma con patto che me ne porti dell’altre.

Zerbino. Lasci fare1, che sarà servita.

Ciccio. Ora, che cosa vogliono da me?

Zerbino. Vogliono domandargli scusa di quello che gli hanno fatto. Eccoli lì tutti preparati. S’accomodi, che ora verranno. (Credo che lo vogliano burlare più che mai. Se posso, voglio far anch’io la mia parte). (si rilita)

Ciccio. Se mi daranno le mie soddisfazioni2, m’acquieterò; altrimenti farò qualche risoluzione. Dovevano veramente venire a casa mia a farmi il complimento di scusa, ma ho piacere che non vedano i fatti miei; non ho certo modo di riceverli. È stato meglio che sia venuto qui. (siede) Oh, non si credano già che sia un babbuino! So mantenere il mio punto fino all’ultimo sangue; e se non mi dispiacesse di disgustar don Gasparo... ma da lui si può venir a desinar qualche volta, onde convien soffrire, e contentarsi di quel che si può.

Gasparo. Signor don Ciccio, io, come padron di casa, e vostro buon servitore ed amico, vengo prima di tutti a domandarvi scusa della burla fattavi, di cui avete mostrato di sentir dispiacere; ed in segno di buona amicizia, vi prego, finchè dura la presente nostra villeggiatura, venire ogni giorno a pranzo da noi.

Ciccio. (Sedendo con gravità) Gradisco le scuse che voi mi fate, e per attestarvi un amichevole aggradimento, accetto per capitolazione le vostre grazie, e sarò esattamente, fino che durerà la villeggiatura presente, vostro quotidiano commensale perpetuo.

Gasparo. (Oh sì, che vuol mangiare un pezzo alla lunga). (da sè)

Florida. Signor don Ciccio, sento che siete adirato con tutti, e dubito che lo siate ancora con me. Se il ridere è delitto, v’accerto che son rea la mia parte; però vi domando scusa, e per farvi vedere quanta stima ho di voi, voglio preferirvi a tutti, e finchè stiamo qui in villeggiatura, voglio che siate il mio cavaliere.

  1. Zatta aggiunge: o me.
  2. Zatta: la mia soddisfazione.