Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/88

82 ATTO TERZO


Florida. E non per altro?

Mauro. Non per altro.

Florida. E non penate un poco a lasciarmi?

Mauro. Niente davvero; niente, signora mia, niente affatto.

Florida. Siete un simulatore dunque.

Mauro. La mia simulazione derivò da un principio buono.

Florida. Da un principio stolido, dovevate dire.

Mauro. Come comandate.

Florida. Ora dite così, perchè vi piace lo spirito letterato della padrona di cosa.

Mauro. A voi non rendo conto de’ miei pensieri.

Florida. Capperi! si è messo in gravità il signor don Mauro.

Mauro. Non cambio temperamento. Sono il medesimo che sono stato.

Florida. Sì, è vero; sempre burbero ed accigliato.

SCENA XIII.

Don Paoluccio e detti.

Paoluccio. Signori miei, la sapete la bella nuova?

Florida. C’è qualche novità di don Ciccio?

Paoluccio. No di don Ciccio, ma di donna Lavinia. Elia dice che ha il mal di capo: si allestisce per andare in città a farsi cavar sangue. Il marito crede, o fiìnge di credere. Vuol partire con lei, e noi siamo tutti belli e licenziati.

Florida. Questa è una vendetta di donna Lavinia.

Paoluccio. Lo credo ancor io. Se questo caso nascesse a Parigi, lo metterebbono sul Mercurio Galante.

Florida. E con tanta inciviltà licenzia la compagnia?

Paoluccio. Non dicono che si vada via. Offeriscono anzi casa, cuoco, servitù e libertà di restare; ma chi è quello che accettar voglia una simile esibizione?

Florida. Io non ci resterei per tutto l’oro del mondo.

Paoluccio. Non volendo restare, esibiscono il comodo di due legni; e ora con don Gasparo abbiamo fatto la distribuzione così: in