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70 ATTO TERZO


Riminaldo. E da qui innanzi non vogliono che si giochi più al faraone. I piccioli giochi non mi divertono, onde faccio conto d’andarmene.

Eustachio. E venuto ora don Paoluccio a stordirci il capo col suo Parigi, colla sua Londra.

Riminaldo. E credo sia anche venuto a disseminare un poco di discordia fra queste nostre signore.

Eustachio. Per me ci penso poco di questo. Non bado io alle signore, mi diverto più volentieri colle contadine.

Riminaldo. Anch’io, per un poco, ma mi stufo presto; quando non si gioca, non so che fare.

SCENA II.

Zerbino e detti.

Zerbino. Servitore umilissimo di lor signori.

Eustachio. Che c’è, buona lana?

Zerbino. Male assai. Se non mi aiutano, son per terra.

Riminaldo. Che vuol dire? Che cosa è stato?

Zerbino. La padrona mi ha licenziato.

Riminaldo. Perchè vi ha licenziato?

Zerbino. Per niente.

Eustachio. Già, per niente. E il più buon ragazzo di questo mondo. L’averà licenziato per niente. (con ironia)

Zerbino. Per un poco di roba dolce mi ha licenziato.

Riminaldo. Sarà quella che si aspettava sul fin della tavola.

Eustachio. Quella che ha domandato don Ciccio.

Riminaldo. Ve l’averete mangiata, eh?

Zerbino. Un poco mangiata, un poco donata.

Eustachio. A chi donata?

Zerbino. A due belle ragazze.

Eustachio. Ah barone!

Zerbino. Sono baroni quelli che danno alle ragazze? (a don Eustachio)

Eustachio. Sicuro.