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LA VILLEGGIATURA 53


Lavinia. Sarà difficile, signor mio caro...

Florida. Lasciatelo parlare, se volete intendere la ragione.

Paoluccio. Qui s’abbiamo a battere non colla spada, ma colle parole.

Lavinia. Ricordatevi, che le leggi di buona cavalleria vogliono che sia il combattimento con armi eguali. Voi non l’avete da soverchiare.

Paoluccio. Volete dire, ch’io parlo troppo. L’avete detto con grande spirito: alla maniera francese. Un frizzo simile mi disse un giorno madama di Sciantillon, cognata del duca di Scenleuriè.

Florida. Fan buono queste applicazioni concise.

Mauro. Voi non mi farete uscire dal mio costume. Se vi comoda udire le mie ragioni, ascoltatele: quando no, io non vo’ garreggiare nè colla vostra voce, nè colle vostre parole.

Paoluccio. Parliamo alla foggia vostra, basso quanto volete, e adagio quanto vi comoda. Sediamo, se comandate.

Lavinia. Chi è di là? Da sedere. (servitori accostano le sedie, e tutti siedono)

Paoluccio. Favorite, don Mauro, acciò possiamo ridurre la questione al suo vero principio. Favorite darmi la definizione della costanza.

Mauro. La costanza è una fermezza d’animo: una perseveranza in un proposito creduto buono, la quale nè dal timore, nè dalla speranza può essere deviata.

Paoluccio. Signore mie, vi sottoscrivete a questa definizione? (alle donne)

Lavinia. Io sì certamente, e non può essere concepita meglio.

Florida. Io non ne sono assai persuasa. Mi aspetto da don Paoluccio qualche cosa di più.

Paoluccio. Per dir il vero, la definizione di don Mauro è scolastica troppo, e troppo comune. Questo termine di perseveranza è buonissimo in altre occasioni, non in quella in cui ci troviamo1, non nel proposito di cui si tratta. Piacquemi, quando egli disse essere la costanza una fermezza d’animo; ma l’animo

  1. Zatta: in cui ci troviamo noi.