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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO | 517 |
Mauro. Dieci anni ci ho pensato... credea giunta quell’ora.
Pazienza, si signore, non sarà tempo ancora.
Bianca. Signor, porgo la mano? (a don Mauro)
Mauro. Oh, io non son più io.
Conte. È questa la mia sposa. (con risoluzione)
Bianca. Questi è lo sposo mio.
Conte. A voi tocca, signore, di stendere il contratto.
Notaro. So quel che far conviene.
Mauro. Eh, quel ch’è fatto... è fatto.
SCENA ULTIMA.
Madama Graziosa e detti.
Una povera sposa, che sposo più non ha.
Mauro. Madama, siete vedova? (con un poco d’allegria)
Madama. Ah no, ma si è sottratto
Colla fuga il marito.
Mauro. Ah! quel ch’è fatto, è fatto.
Marchese. Avrò pietà di voi. (a Madama)
Madama. So che avete un bel cuore.
(al Marchese)
Marchesa. Eh, che non vi è bisogno. Il Conte è il protettore.
Conte. Marchesa, il vostro labbro tende a rimproverarmi;
Non tocca a voi, signora, ma vo’ giustificarmi.
Sappia Madama, e sappialo chiunque mi vede e sente,
Che oggi cambiar intendo il cuor perfettamente.
E chi a calcar mi guida la via men perigliosa,
È un amico fedele, è un’amabile sposa.
Fui di me stesso amante, esserlo posso ancora.
Basta cambiare i mezzi, che seguitai finora.
Prevalga in me l’onore, sia l’onestà il mio nume;