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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO 515
Alberto. Oh, la pase xe fatta!

Conte.   Tali amici son rari.
Alberto. Oe, ventimile scudi. (al Conte)
Conte.   Bastami tal consorte.
Alberto. Eh, anca questo, compare, è un articolo forte.
Conte. Vadasi da don Mauro.
Alberto.   L’ha da vegnir qua elo.
El xe tutto contento. El par giusto un puttelo;
E anca della Marchesa el mostra un gusto matto.
Bianca. È poi ver che si sposi?
Alberto.   S’ha da far el contratto.
No manca che el nodaro, daresto gh’è el bisogno.
Bianca. E per me?
Alberto.   Se gh’intende.
Bianca.   Ah, che mi par un sogno!

SCENA VIII.

Don Mauro, la Marchesa Ippolita, il Marchese Ferdinando,
un Notaro ed i suddetti.

Mauro. Sposi, sposi, siam qui. Gli sposi, che ora vengono...

Salutan, sì signore... quei che qui si trattengono.
Ah, sono anch’io brillante! Amor fa... sì signore.
Animo, due contratti stenda il signor... dottore.
Conte. Don Mauro, che col nome di zio chiamar m’è dato,
All’amor che mi muove, sempre il mio cuor fia grato.
Con giubbilo in isposa accetto la nipote.
Mauro. E ventimila scudi... sì signor, per la dote.
Bianca. Foste sempre, signore, padre per me amoroso,
E vi amerò qual figlia congiunta ad uno sposo:
Sposo che riconosco dal vostro amabil cuore.
Mauro. E ventimila scudi di dote... sì signore.
In faccia del notaro... in faccia ai testimoni
Si faccian... sì signore... i nostri matrimoni.
Via, scrivete.
(al notaro, il quale si mette a scrivere ad un tavolino indietro)