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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO 451
A pro del commissario ho di parlarvi impegno, (piano)

Bianca. (Mostra curiosità di sentire.)
Marchese. Voi in favor mi parlate d’un commissario indegno?
(forte)
Conte. Dite piano. (guardando donna Bianca)
Bianca.   Ho capito. (s’alza e parte)
Conte.   (Ho cento furie intorno). (da sè)
Marchesa. (Di gelosia la pazza possa crepare un giorno). (da sè)
Marchese. L’altro chi è? De’ Martini? (al Conte)
Conte.   Sì signor, lo diceste.
Marchese. Non vi avreste impegnato, se voi li conosceste.
Uno della giustizia fe’ mercatura infame;
L’altro per ingannarmi unì sordide trame.
Non son frivole accuse, che li hanno a me dipinti,
Sono con prove certe colpevoli e convinti.
Venni per discacciarli, e ciò per essi è poco;
Avran la loro pena dovuta in altro loco.
Da cavaliere onesto, signor, quale voi siete,
So ben che dal servirvi in ciò mi scuserete.
In altro comandatemi, di me siete padrone;
Ma indegni son coloro di vostra protezione.
Conte. Scusatemi, signore, vi credo e più non parlo,
(Per chi m’era impegnato così senza pensarlo!
Ah, di rossor mi copre la vergognosa taccia
Di facile, d’incauto, a un cavaliere in faccia), (da sè)
Signor, non son contento, l’ardir di quei villani
Se tardo, se non tento punir colle mie mani.
A un cavalier mio pari formar simile inganno?
Chi sia il Conte dell’Isola quei perfidi non sanno.
Non è riuscito ancora ad uom di questo mondo,
Far sì ch’io non vedessi d’un’impostura il fondo.
Non son, grazie alla sorte, sì poco illuminato.
Questa volta, il confesso, sì, l’amor m’ha acciecato.
(Vo’ confessar piuttosto una mia debolezza,
Anzi che mi si creda mancar per stolidezza), (da sè, parte)