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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO 467
Conte. Non son ventiquatt’ore, che libero son io.

Madama. Caspita, il ferro è caldo!
Conte.   Un ferro indebolito
Da voi più facilmente può essere colpito.
Madama. Se potessi rispondere!
Conte.   Dite, son preparate.
Madama. Direi che dall’amore il ferro è logorato.
Conte. Cospetto, questa frase è affatto romanzesca.
Madama. Che crede, mio signore? Anch’io son Petrarchesca.
Conte. Sapete far sonetti?
Madama.   Oh sì, signore, in letto.
Conte. (Costei ha dello spirito. Ci ho gusto, ci ho diletto).
Il signor de’ Martini1 vien da voi?
Madama.   No, signore.
Sarà, che non ci viene...
Conte.   Quanto sarà?
Madama.   Sei ore.
Conte. Madama, vi ho capito. Non siete sempliciotta.
E se il mio ferro è caldo, il vostro ferro scotta.
Madama. Non lo voglio più certo quel prosontuoso ardito.
Conte. Che cosa vi ha egli fatto?
Madama.   Ecco qui mio marito.

SCENA VIII.

Il Commissario e detti.

Conte. Oh signor commissario, di grazia, si contenti (s’alza)

Gli faccia i miei divoti sinceri complimenti:
A lei che tanto stimo, permetta che offerisca
Servitù senza fine, e ch’io lo riverisca.
Commissario. Signor, troppo mi onora, venendo in queste soglie
A favorir la casa, a favorir mia moglie.

  1. Così l’ed. Pitleri. Nell’ed. Guibert-Orgeas si trova sempre stampato Demartini, e nell’ed. Zatta De Martini.