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466 ATTO SECONDO
Madama.   Mi farà ben piacere.

Conte. Sì, scriverò in Venezia.
Madama.   Scrive a Venezia? Aspetti.
Faccia venire ancora un poco di fioretti.
Conte. Ben volentieri.
Madama.   E.... senta. Potria coll’occasione
Ordinar dell’argento per una guarnizione:
Dieci o dodici braccia. Me lo farà mandare?
Conte. (Eh, per la prima visita mi posso contentare). (da sè)
Dirò, l’argento, i libri, i fiori, tutto insieme
Farà troppo volume.
Madama.   Dei libri non mi preme.
Conte. Sentite, mia signora, voglio pariarvi schietto,
Per darvi un certo segno d’amore e di rispetto.
Son cavalier, son tale che il suo dover lo sa;
Che comandiate, ho detto, con tutta libertà.
Ma son uom capriccioso. Godo infinitamente
Che giungano le cose così improvvisamente.
Vedrò quel che vi piace, con animo di farlo,
Senza che vi prendiate fastidio a domandarlo.
Madama. Oh, non son io di quelle che usano domandare.
Il cielo me ne guardi. Non saprei come fare.
Quello che mi bisogna, me lo fa mio marito;
Saran due settimane, che mi comprò un vestito.
Manca la guarnizione; vedrà ch’è necessaria;
Ma non domando niente, non son sì temeraria.
Conte. (A far i complimenti non ha molto imparato.
Ma per tirar dei colpi pare un libro stampato), (da sè)
Madama. Lo vuol veder quest’abito?
Conte.   Lo vederemo poi.
Or, madama carissima, mi basta veder voi.
Madama. Vede poco di buono.
Conte.   Eh, vedo un occhio scaltro.
Vedo, o di veder parmi (credo non ci sia altro).
Madama. Come sta di amorose, signor Contino mio?