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L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO | 459 |
Conte. È un po’ difficile.
Ippolita. Non ci pensate su.
Conte. Eh, quando è fatta, è fatta, e non si disfà più.
Voi che legata foste, ed or libera state,
Perchè, s’è cosa buona, non vi rimaritate?
Ippolita. Perchè laccio a proposito peno trovare anch’io.
Conte. Ditemi, in confidenza. Sarebbe buono il mio?
Ippolita. Voi scherzate, signore.
Conte. E a voi preme davvero.
Ippolita. Mi prema, o non mi prema, non deggio a voi svelarlo.
Ma il modo, se ne ho voglia, non mancami di farlo.
Son libera, son giovane, non ho bellezza alcuna,
Ma ho dote, che può fare d’un uomo la fortuna.
Non cercherò un marito nel ceto degli eroi;
Mi basta non trovarlo sprezzante come voi. (parte)
SCENA III.
Il Conte, poi Frugnolo.
Sarebbe un matrimonio per far il mio interesse.
Ma pria di maritarmi tutto pensar conviene:
Il matrimonio è un laccio. La libertà è un gran bene.
Son solo, e la famiglia vuol ch’io lo faccia, il so;
Ma la catena al piede più tardi che si può.
Mi piace la Marchesa brillante nei pensieri,
Farei l’amore un poco con essa volentieri,
E benchè mostri altera sprezzarmi apertamente,
Mi par, se non m’inganno, piacergli internamente.
Oh, non durerà molto, perch’è una donna scaltra.
Eh ben, son sempre a tempo di ritrovarne un’altra.
Frugnolo. Eccomi qui, signore.
Conte. Che c’è? Vi è dell’imbroglio?
Frugnolo. Madama commissaria gli manda questo foglio.