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456 | ATTO SECONDO |
La libertà è preziosa, so che del cielo è un dono,
Ma ha il matrimonio ancora la sua parte di buono.
SCENA II.
Il Conte e la suddetta.
Ippolita. Conte, son malinconica; divertitemi un poco.
Conte. Che ci vorrebbe mai per farvi divertire,
Per rallegrar gli spiriti?
Ippolita. Non so, nol saprei dire.
Conte. Eh, so ben io, signora, per voi che vi vorria.
Ippolita. Voi mi verrete al solito a dir qualche pazzia.
E poi, se donna Bianca vi sente a dir così,
La vederete il grugno alzar per tutto il dì.
Conte. Donna Bianca è una dama ch’io rispettare intendo,
Ma soggezion di lei per questo io non mi prendo.
Ippolita. Ma quando di una donna l’amor si vuol pretendere,
Signor Contino amabile, da lei si ha da dipendere.
Conte. Dipendere, l’accordo, in cosa concludente.
Non in cose da nulla.
Ippolita. Dipender ciecamente.
Conte. Io non penso così, signora.
Ippolita. Poverino!
Se aveste a far con me, caro il mio bel Contino,
Star per amore, o a forza, alla passion dovreste.
Conte. Non ci starei, signora.
Ippolita. Oh oh, se ci stareste!
Conte. Voi avete un gran merito, lo vedo, lo confesso;
Ma qual faccio coll’altre, con voi farei lo stesso.
Ippolita. Ed io dopo tre giorni, Contin, vi manderei.
Conte. Ed io dopo tre giorni. Marchesa, me n’andrei.
Ippolita. Eh, quando si vuol bene, non si può dir così.