Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/457


L'AMANTE DI SÈ MEDESIMO 449
Che giovine di garbo, che giovine di merto!

Quando così per grazia mi misero prigione,
Mi facea la mattina portar la colazione.
E quanto ben mi ha fatto, signore, e quante notti
Andar mi fece in camera a farle i papigliotti!
Mi aveano processato; ella il marito istesso
Obbligò a lacerare le carte del processo.
E posso dir, che in grazia di sua protezione,
Mi fecero innocente uscir dalla prigione.
Conte. Cosa avevi tu fatto?
Frugnolo.   Cose di gioventù.
Portavo lo stiletto, ma non lo porto più.
Conte. A madama Graziosa mandai certa proposta;
Finora attesi in vano il messo e la risposta.
A te darebbe l’animo? So che un grand’uom tu sei.
Frugnolo. Non ho difficoltà. Per me la servirei;
Però al commissariato andar non mi è permesso,
Perchè pagar mi resta le spese del processo.
È ver che i suoi diritti donommi il commissario;
Ma quel che a lui si aspetta, pretende l’attuario.
Potrei con uno scudo sperar di liberarmi,
Ma se non ho lo scudo, non posso assicurarmi.
Conte. Galant’uom, v’ho capito. Eccovi bello e nuovo
Uno scudo di peso.
Frugnolo.   Subito andar mi provo.
Conte. Portati bene, e bada condurti con destrezza.
Frugnolo. Aprir con queste chiavi m’impegno una fortezza.
(accenna uno scudo)
Se torno colle nuove d’uom valoroso e scaltro,
Mariterem lo scudo?
Conte.   Te ne prometto un altro.
Frugnolo. (Vada due scudi al sette. Va paroli sul tre.
Sette a levar sull’asso. Sedici scudi a me).
(da sè, come se giocasse)
(Va tutto alla corona. Tutto? non son sì tondo).