Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
426 | ATTO SOLO |
Conte. Una simile esibizione la posso fare ancor io. La sicurezza d’aver la dote un giorno aumentata per benefizio delli figliuoli, vale lo stesso che conseguirla, nè il ritrovato del Cavaliere ha nulla di sì stravagante, ch’io non potessi quanto lui immaginarlo.
Cavaliere. Il Colombo trovò l’America. Molti dopo di lui dissero ch’era facile il ritrovarla; col paragone dell’uovo in piedi, svergognò egli i suoi emoli, ed io dico a voi, che il merito della scoperta per ora è mio. (al Conte)
Ambrogio. Accomodatevi fra di voi, salvo sempre la roba mia, fin ch’io vivo.
Conte. Donna Eugenia è in libertà di decidere.
Eugenia. Conte, finora fui indifferente. Ma farei un’ingiustizia al Cavaliere, se mi valessi de’ suoi consigli, per rendere altrui contento. Egli ha trovato il filo per trarmi dal laberinto. Sua deve essere la conquista.
Cavaliere. Oh saggia, oh compitissima dama!
Conte. Sia vero o falso il pretesto, non deggio oppormi alle vostre risoluzioni, e siccome, se io vi avessi sposata, non avrei sofferto l’amicizia del Cavaliere, così, sposandovi a lui, non mi vedrete mai più.
Cavaliere. Io non sono melanconico, come voi siete. Alla conversazion di mia moglie tutti gli uomini onesti potran venire: protestandovi che di lei mi fido, e che il vostro merito non mi fa paura.
Ambrogio. Andiamo, signor Dottore, a far un’altra scrittura, chiara e forte, sicchè fin ch’io viva, non possa temer di niente. Voi, signor don Fernando, andate a Mantova, e seguitate a studiare. Signor Cavaliere, fatto il contratto, darete la mano a mia nuora, e voi signor Conte, se perdeste una tal fortuna, vi sta bene, perchè siete un Avaro.
Fine della Commedia.