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L'AVARO | 421 |
SCENA XIII.
Il Cavaliere e detti.
Cavaliere. Vengo innanzi senza imbasciata, sull’esempio del Conte. M’inchino alla dama. Amico, vi riverisco. (lo risalutano)
Eugenia. Avete qualche novità. Cavaliere?
Cavaliere. Sì certo; novità importantissime. Sono impaziente che le sappiate voi pure.
Eugenia. Spiacemi che alla presenza del Conte....
Conte. Partirò, mia signora...
Cavaliere. Restate pure. Ho piacere che si sappia da tutto il mondo.
Eugenia. Voi siete dunque da don Ambrogio...
Cavaliere. Sì, sonoramente burlato. Mi ha dato delle buone speranze di essere favorito, ma pretendeva da me una rinunzia ingiustissima della vostra dote. Non è che io non preferisca la vostra mano a tutto l’oro del mondo; ma non mi è lecito arbitrare di quel ch’è vostro. Vedete dunque a che tendono le sue mire vili, indegnissime, e risolvete disporre di voi medesima.
Eugenia. (Ma chi può essere la persona da lui prescelta, ch’io conosco e ch’io tratto?) (da sè)
Conte. Ormai la vostra dipendenza dal suocero diviene ingiusta, e la sua indiscretezza vi esime da ogni onesto riguardo.
Cavaliere. Siete in faccia del mondo bastantemente giustificata.
Eugenia. (Sempre si rende maggiore la mia curiosità.) (da sè)
Conte. Il Cavaliere aspetta le vostre risoluzioni.
Cavaliere. Le aspetta il Conte non meno. Siamo in due che vi bramiamo; voi dovete decidere. E in questo caso non ha luogo il ripiego della division per metà.
SCENA XIV.
Cecchino e detti.
Cecchino. Il signor don Fernando brama di riverirla. (ad Eugenia)
Eugenia. Se non ha cosa di gran premura, digli che a pranzo noi ci vedremo.