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420 ATTO SOLO


Ambrogio. Una persona che conoscete, che trattate, e che mi lusingo non vi dispiaccia.

Eugenia. (O il Conte o il Cavaliere, m’immagino). (da sè) Ma ditemi più chiaramente....

Ambrogio. Or ora lo mando qui a parlarvi da lui medesimo. Voglio lasciarvi in un poco di curiosità. Vo’ farvi astrolicare un pochino. È un galantuomo; ve l’assicuro. Prendetelo ad occhi chiusi.

Eugenia. Via, ditemi almeno...

Ambrogio. Signora no; or ora lo vederete. (parte)

SCENA XII.

Donna Eugenia, poi il Conte.

Eugenia. Uno dei due senz’altro. Per verità, mi appiglierei più volentieri al partito del Cavaliere. Ma sono in parola di dipendere dalla scelta di don Ambrogio. Ecco il Conte: senz’altro è questi che mandami don Ambrogio; questi è lo sposo che mi destina.

Conte. Perdonate, se sono ad incomodarvi.

Eugenia. Conte, ho motivo di consolarmi con me medesima.

Conte. Di che, signora?

Eugenia. Don Ambrogio mi ha detto...

Conte. Don Ambrogio è un villano, e del trattamento indegno che fece alla mia persona, e che medita di voler fare alla vostra, farò che a suo malgrado ne renda conto.

Eugenia. Non accorda egli le nostre nozze?

Conte. All’incontrario: l’avidità di possedere la vostra dote, fa ch’ei procuri di attraversarvi ogni partito, e giunse a perdere a me il rispetto.

Eugenia. Resto maravigliata; mi ha pure egli detto.... (Veggo il Cavaliere che viene. Sicuramente sarà codesto il prescelto). (da sè)

Conte. Che vi ha egli detto, signora?

Eugenia. Conte, voi sapete la mia indifferenza....