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L'AVARO | 415 |
Cavaliere. Lo potrete fare con comodo; bastami per ora che voi mi diciate, se dal canto vostro sarete di ciò contento.
Ambrogio. Contentissimo. Sarei un pazzo, sarei nemico di donna Eugenia, se mi opponessi alla sua fortuna. Un cavalier che l’ama, e che per segno d’amore non domanda un soldo di dote! Cospetto di bacco! a questa sì nobile condizione vi darei una mia figliuola.
Cavaliere. Viva il signor don Ambrogio.
Ambrogio. Viva il signor cavaliere degli Alberi.
Cavaliere. Siete lo specchio de’ galantuomini.
Ambrogio. Siete la vera immagine del cavaliere.
Cavaliere. Caro, carissimo. (gli dà un bacio)
Ambrogio. Che tu sia benedetto!
Cavaliere. Donna Eugenia quanto ha dato di dote a vostro figliuolo?
Ambrogio. (Rimane un poco confuso) Non mi parlate di melanconie. Il poveretto è morto, e non ho piacer che se ne discorra.
Cavaliere. Non parliamo di lui, parliamo di donna Eugenia.
Ambrogio. Sì, di lei parliamo quanto volete.
Cavaliere. Donna Eugenia quanto vi ha dato di dote?
Ambrogio. A me?
Cavaliere. Alla vostra casa.
Ambrogio. A voi che importa saperlo? Non la volete già senza dote?
Cavaliere. Sì, ci s’intende. Domando così, per curiosità.
Ambrogio. In un cavaliere di garbo, come voi siete, sta male la curiosità. Se donna Eugenia lo sa, che mi facciate tale domanda, crederà che il vostro amore sia interessato, ed io, se me lo posso immaginare soltanto, vi dico un no, come ho detto al conte dell’Isola.
Cavaliere. Vi ha parlato il Conte?
Ambrogio. Sì, mi ha parlato quell’avarone. Appena appena mi disse non so che della vedova, subito mi ricercò della dote.
Cavaliere. Io poi la metto nell’ultimo luogo.
Ambrogio. Nell’ultimo luogo? Tardi o presto dunque ci volete pensare.