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412 ATTO SOLO


dovrò darla, la darò in modo che sia sicura, e che non abbia un giorno la povera donna a restar miserabile.

Conte. La casa mia non ha fondi bastanti per assicurarla?

Ambrogio. Vi parlo chiaro, come l’intendo. Se cercaste di maritarvi per l’amore della persona, non cerchereste con tanta ansietà la sua dote.

Conte. Io ne ho parlato per accidente,

Ambrogio. Ed io vi rispondo sostanzialmente: donna Eugenia è stata moglie di mio figliuolo: le sono in luogo di padre; e quando abbia volontà di rimaritarsi, ci penso io.

Conte. E s’ella presentemente avesse un tal desiderio?

Ambrogio. Me lo faccia sapere.

Conte. Fate conto ch’io ve lo dica per essa.

Ambrogio. Fate voi il conto di essere donna Eugenia, e sentite la mia risposta: il conte dell’Isola non è per voi.

Conte. E perchè, signore?

Ambrogio. Perchè è un avaro.

Conte. Lasciamo gli scherzi, che io ne sono nemico. Don Ambrogio, spiegatevi seriamente.

Ambrogio. Sì, parliamo sul sodo. Conte, mia nuora non fa per voi.

Conte. La cagione vorrei sapere.

Ambrogio. Ho qualche impegno, compatitemi, non siete il primo che me la domandi.

Conte. Mi ha prevenuto forse il cavaliere degli Alberi?

Ambrogio. Potrebbe darsi. (Non l’ho nemmeno veduto). (da sè)

Conte. Quando vi ha egli parlato?

Ambrogio. Quando io l’ho sentito.

Conte. Non è codesto il modo di rispondere a un cavaliere.

Ambrogio. Servitore umilissimo.

Conte. Voi trattate villanamente.

Ambrogio. Padrone mio riverito.

Conte. Conosco le mire indegne del vostro animo. Voi negate di dar la nuora a chi vi chiede la dote, ma ciò non vi verrà fatto. Donna Eugenia sarà illuminata, e dovrete a forza restituire ciò che tentate di barbaramente usurpare. (parte)