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L'AVARO 405


Cavaliere. Appunto; anch’io ho una cosa da comunicarvi. Con licenza, Conte. (Lo vogliamo far disperare). (piano a donna Eugenia)

Conte. (Se resisto, è un prodigio). (da sè)

Eugenia. Orsù, che si parli che tutti sentano. Che fate voi, Cavaliere?

Cavaliere. Sto benissimo, quand’abbia l’onore della grazia vostra.

Eugenia. La grazia mia è troppo scarsa.

Cavaliere. Anzi è sufficientissima, quando anche fosse divisa in due.

Eugenia. Siete voi di quelli che si contentano della metà?

Cavaliere. Sì certo; quando non si possa avere di più.

Conte. Donna Eugenia non sa dividere il cuore.

Cavaliere. Nè voi, nè io lo sappiamo. (con serietà)

Eugenia. Mi tenete voi nel numero delle lusinghiere? (al Cavaliere)

Cavaliere. Guardimi il cielo. So che siete la più saggia dama del mondo. Ma io tengo per fermo, che non sia limitata la grazia delle belle donne, e che salvo l’onesto vivere, possano a più di uno distribuire i favori, a chi più, a chi meno, con una distribuzione economica, la quale poscia produca diversi effetti, secondo la disposizione dell’animo di chi ne riceve la sua porzione, ond’è che ad uno la metà non basta, e si contenta un altro di meno. (allegro)

Conte. Questo non è pensare da uomo.

Cavaliere. Non ho parlato con voi. (con serietà al Conte)

Eugenia. Sarebbe vano adunque, che una donna desse a voi solo tutto il possesso del di lei cuore. (al Cavaliere)

Cavaliere. Non sarei sì pazzo di ricusarlo, e ne terrei quel conto che merita un simil dono; ma la difficoltà di aver tutto, mi fa contentare del poco. (allegro)

Eugenia. Questa difficoltà non mi par ragionevole.

Cavaliere. La fondo sull’esperienza. Mi sono lusingato assai volte di possedere il trono della bellezza. Ma le monarchie in amore non durano, e mi contento di essere repubblichista. (allegro)

Conte. Il cuore di donna Eugenia non si misura cogli altri.

Cavaliere. La conosco al pari di voi. (con serietà al Conte)

Conte. Se meglio la conosceste, non parlereste così.