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L'AVARO 403


Conte. Voi m’invitate a nozze, qualora mi provocate a parlare.

Eugenia. L’eccitamento vien dal mio cuore.

Conte. E al vostro cuore rispondo che sarei felicissimo, se non mi tormentasse un rivale.

Eugenia. Questa è la prima volta che lo diceste.

Conte. L’ho detto a tempo, signora?

Eugenia. Potrebbe darsi.

Conte. Le cose possibili sono infinite. Fra queste si confondono le mie speranze ed i miei timori. Quel che ora vi chiedo, è qualche cosa di certo.

Eugenia. Esaminatelo bene, e confessate che quello che mi chiedete, non è sì poco.

Conte. Se mal non mi appongo, parmi di aver domandato pochissimo. Sarei temerario, se vi chiedessi l’intero possedimento della grazia vostra: chiedevi solo, se siete a tempo ancor di disporne.

Eugenia. Ma se questo è un segreto, che con gelosia custodisco, non sarà eccedente la vostra interrogazione?

Conte. Voi avete il dono di farvi intendere senza parlare. Capisco essere il vostro cuore occupato.

Eugenia. E se ciò fosse, capireste con eguale facilità, qual sia l’oggetto che l’occupi?

Conte. No, signora, codesto è il segreto.

Eugenia. Dunque non potete voi giudicare di essere escluso.

Conte. Ma nè tampoco assicurarmi di essere il favorito.

Eugenia. Gli animi discreti si contentano, se hanno una ragione di sperare.

Conte. Sì, quando una ragione più forte non li faccia temere.

Eugenia. Qual è il gran fondamento di questo vostro timore?

Conte. Il mio demerito.

Eugenia. No, Conte, pensate male.

Conte. Aggiungete: lo spirito audace del mio rivale.

Eugenia. Una novella ragione, che più mi offende.

Conte. Vi supplico di compatirmi.

Eugenia. Vi compatisco.