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402 | ATTO SOLO |
SCENA V.
Il Conte dell’Isola e detta.
Conte. Servitore umilissimo di donna Eugenia.
Eugenia. Serva, Conte. Favorite di accomodarvi.
Conte. Per obbedirvi. (siedono)
Eugenia. Siete appunto venuto in tempo ch’io aveva bisogno di compagnia.
Conte. Mi chiamerei fortunato, s’io potessi contribuire a qualche vostra soddisfazione.
Eugenia. Le vostre espressioni sono effetti della vostra bontà.
Conte. Non mai al merito vostro adeguate.
Eugenia. Sempre gentile il Conte dell’Isola.
Conte. Vorrei esserlo, per aver l’onor di piacervi.
Eugenia. La vostra conversazione mi è sempre cara.
Conte. Lo voglio credere, perchè lo dite. Ma per il vostro spirito la mia conversazione è assai poca.
Eugenia. Voi mi mortificate senza ragione.
Conte. Prendetela per una sciocchezza. Io non so divertirvi diversamente.
Eugenia. Fate torto a voi stesso. Buon per voi, che favellate con chi vi conosce.
Conte. No, donna Eugenia, io sono un uomo sincero, e non ho altro di buono, oltre la conoscenza di me medesimo. A fronte del Cavaliere, so che io ci perdo, ma non importa: non confido soltanto nel vostro spirito, ma nel vostro cuore; e mi lusingo, che in mezzo ai disavvantaggi del mio costume, conoscerete il fondo della mia schiettezza.
Eugenia. Non è scarso merito la sincerità.
Conte. Ma è poco fortunata per altro.
Eugenia. Potete voi dolervi di me?
Conte. Non sarei sì ardito di dirlo.
Eugenia. Ancorchè nol diciate, si conosce che siete poco contento.
Conte. Sarà un effetto di quella sincerità che lodaste.
Eugenia. Dunque la stessa sincerità non me ne dee tacere i motivi.