Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1911, XIII.djvu/408

400 ATTO SOLO


Ambrogio. Così, per mia regola, avrei piacer di sapere quando avete stabilito di andarvene.

Fernando. Torno a ripetere, che oggi aspetto le lettere di mio padre.

Ambrogio. E se non vengono?

Fernando. Se non vengono... mi sarà forza di trattenermi.

Ambrogio. Fate a modo mio, figliuolo: fategli una sorpresa; andate a Mantova, e comparitegli all’improvviso. Oh, con quanta allegrezza abbracceranno il signor Dottore!

Fernando. Da qui a Mantova ci sono parecchie miglia.

Ambrogio. Non avete denari?

Fernando. Sono un poco scarso, per dire il vero.

Ambrogio. V’insegnerò io, come si fa. Si va al Ticino, si prende imbarco, e con pochi paoli vi conducono fino all’imboccatura del Mincio.

Fernando. E di là fino a Mantova?

Ambrogio. A piedi.

Fernando. Così non viaggiano i giovani pari miei.

Ambrogio. E i pari miei dicono ai pari vostri, che la casa di un poveruomo par mio non è locanda per un Dottore par vostro. (parte)

SCENA III.

Don Fernando solo.

Ecco a che conduce gli uomini l’avarizia. Don Ambrogio, nobile e ricco, reputa se medesimo per il più vile, per il più miserabile. E si può dire ch’egli sia tale, giacchè la nobiltà si fa risplendere colle azioni, e le ricchezze non vagliono, se non si fa di esse buon uso. Doveva andarmene di questa casa tosto che cessò di vivere l’amico mio don Fabrizio, ma appunto la di lui morte è la cagione per cui mi arresto. Ah sì, il rispetto ch’io ebbi per donna Eugenia, vivente il di lei marito, si è cambiato in amore da che ella è vedova, e alimentandosi la mia speranza... Ma quale speranza posso aver io di rimanere con-