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398 ATTO SOLO


SCENA II.

Don Fernando e detto.

Fernando. Buon giorno, signor don Ambrogio.

Ambrogio. Per me non vi è più nè il buon giorno, nè la buona notte.

Fernando. Compatisco l’amor di padre. Voi perdeste nel povero don Fabrizio il miglior cavaliere del mondo.

Ambrogio. Don Fabrizio era un cavaliere che avrebbe dato fondo alle miniere dell’Indie. Dacchè si è maritato, ha speso in due anni quello ch’io non avrei speso in dieci. Son rovinato, signor mio caro, e per rimettermi un poco, mi converrà vivere da qui in avanti con del risparmio, e misurare il pane col passetto.

Fernando. Perdonatemi. Non mi so persuadere che la vostra casa sia in questo stato.

Ambrogio. I fatti miei voi non li sapete.

Fernando. Mi disse pure vostro figliuolo...

Ambrogio. Mio figliuolo era un pazzo, pieno di vanità, di grandezze. La moglie lo dominava, e gli amici gli mangiavano il cuore.

Fernando. Signore, se voi lo dite per me, in un anno che ho l’onore di essere in casa vostra, a solo motivo di addottorarmi in questa Università, credo che mio padre abbia bastantemente supplito.

Ambrogio. Io non parlo per voi. Mio figliuolo vi voleva bene, e vi ho tenuto in casa per amore di lui; ma ora che avete presa la laurea dottorale, perchè state qui a perdere il vostro tempo?

Fernando. Oggi aspetto lettere di mio padre; e spero che quanto prima potrò levarvi l’incomodo.

Ambrogio. Stupisco, che non abbiate desiderio di andare alla vostra patria a farvi dire il signor Dottore. Vostra madre non vedrà l’ora di abbracciare il suo figliuolo Dottore.

Fernando. Signore, la mia casa non si fonda su questo titolo. Credo vi sarà noto essere la mia famiglia...